Imparare l’italiano, come qualsiasi altra lingua, significa esplorare non solo i suoi codici, ma anche il modo in cui si è sviluppata.
In effetti l’origine e la storia della lingua italiana fa parte della curiosità dei nostri studenti. Uno dei sei seminari che si svolgono nella nostra scuola si occupa di questo argomento e ne parliamo anche in classe. Perciò vi presento una breve storia della lingua italiana dal latino romano ad oggi. Per comodità l’articolo è diviso in due parti.
- Breve storia della lingua italiana
- Dal latino al latino volgare
- Le origini e il XIII secolo
- 14° secolo – Il volgare comincia ad avere la stessa dignità del latino per l’uso letterario.
- 15° secolo – Il ritorno al latino attraverso la rinascita dei classici greci e latini.
- 16° secolo – il grande dibattito su quale latino volgare dovesse essere usato.
- 17° secolo – Molte innovazioni linguistiche ebbero luogo
- 18° secolo – L’Illuminismo e il Culto della Ragione si diffondono.
- 19° secolo – La disputa tra classicisti e romantici.
- 20° secolo – la lingua italiana prevalse sui dialetti.
Breve storia della lingua italiana
Dal latino al latino volgare
Cominciamo con i Romani. In tutto l’impero il latino era la lingua ufficiale, ma solo per documenti scritti, sentenze ecc. La gente continuava a parlare la propria lingua madre d’origine e/o molto spesso un tipo di latino molto influenzato dalla propria lingua madre. Tra il terzo e il quinto secolo a.C., insieme al declino dell’Impero Romano d’Occidente, la lingua parlata divenne sempre più diversa dalla lingua ufficiale. Questa fu l’origine delle lingue dell’Europa occidentale. Così in Spagna si parlava ispano-latino, in Francia franco-latino, in Gran Bretagna anglo-latino ecc.
Le invasioni barbariche dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 a.C.) portarono in Italia una frammentazione finale dell’unità linguistica. Gli invasori, anche se avevano imparato il latino, lo parlavano a modo loro e più tardi alcune peculiarità delle loro lingue apparvero nelle lingue parlate in Italia. Per esempio noi usiamo ancora alcune parole di origine langobarda (i langobardi regnarono sull’Italia settentrionale per due secoli, 568-774 a.C.): ciuffo, graffiare, guancia, ricco, scherzare, schiena, zanna.
Le origini e il XIII secolo
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, per molto tempo, in Italia, il latino rimase l’unica lingua usata per la comunicazione scritta, per la letteratura, i documenti e nelle sedi ufficiali. Il latino era ancora parlato nel 1600 nelle università di tutta Europa.
I primi documenti scritti in latino volgare, cioè la lingua parlata dalla gente di certe regioni e che oggi chiamiamo dialetto, furono i “placiti” (cioè le sentenze) di Cassino (in provincia di Frosinone) del 960 a.C. . Un esempio: “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti” (= So che quelle terre, entro quei confini che qui si descrivono, le ha possedute per trent’anni l’abbazia di San Benedetto – so che quelle terre, entro i confini qui descritti, sono state possedute dall’abbazia di San Benedetto per trent’anni).
Il volgare scritto era usato anche nei testi letterari intorno al 1200. Il famoso “Cantico delle creature” di San Francesco d’Assisi fu scritto in volgare umbro nel 1224:
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria, e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
specialmente messor lo frate sole,
lo qual’è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Altissimo, onnipotente buon Dio
Tue sono le lodi, la gloria e l’onore
E tutte le benedizioni
A te solo, Altissimo, appartengono.
Nessuna bocca umana è degna
di pronunciare il Tuo nome.
Lodato sia Tu, mio Signore con tutte le Tue creature
Soprattutto il nostro fratello, Maestro Sole
Che porta il giorno e la luce
Che ci riscalda lui che è bello e radioso
In tutto il suo splendore!
Porta il senso di Te, o Altissimo.
Le liriche dei poeti siciliani della corte di Federico II di Svevia sono dello stesso periodo. Essi si ispirarono ai poeti francesi provenzali e fondarono una vera scuola di poesia in volgare siciliano (dialetto) a Palermo. Le poesie siciliane erano così popolari che furono copiate anche in Toscana.
Per mezzo degli arabi che commerciavano frequentemente con le città marinare e che soggiornarono in Sicilia dall’827 fino al 1091, arrivarono parole orientali, soprattutto del mondo nautico, economico e scientifico, come magazzino, dogana, darsena, arsenale, tariffa, ammiraglio, zenit, nadir, algebra, cifra, zero, alambicco, sciroppo, arancio, albicocco, carciofo, zafferano (magazzino, dogana, darsena, arsenale, tariffa, ammiraglio, zenit, nadir, algebra, cifra, zero, mandorla, sciroppo, arancia, albicocca, carciofo, zafferano).
14° secolo – Il volgare comincia ad avere la stessa dignità del latino per l’uso letterario.
Tra i volgari italiani più usati, siciliano e toscano, domina il toscano fiorentino.
Questo fu dovuto al fatto che, nel giro di pochi decenni, Dante, Petrarca e Boccaccio divennero famosi scrittori in volgare ed erano tutti toscani.
Il primo fu Dante Alighieri, che decise di scrivere un enorme poema narrativo, qualcosa tra metafisica e fantascienza. Parla del suo viaggio fantastico attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Poi ci fu Petrarca, che scrisse poesie d’amore molto belle e tenere per la sua amante Laura. E poi Giovanni Boccaccio che scrisse il Decamerone, una raccolta di racconti dedicati a soggetti umoristici/erotici. I tre furono molto popolari tra i loro contemporanei ed ebbero molto impatto, per emulazione, sugli autori delle altre regioni italiane.
15° secolo – Il ritorno al latino attraverso la rinascita dei classici greci e latini.
Gli umanisti, come vengono chiamati gli studiosi di quel periodo, trovarono testi che si credevano persi e scoprirono opere che all’epoca erano sconosciute.
L’ammirazione per il mondo classico suscitò il desiderio di imitare gli scrittori antichi e il latino fu considerato l’unica lingua nobile per la letteratura.
Questo periodo di decadenza del volgare finì solo alla fine del secolo, quando alcuni grandi autori (per esempio Lorenzo il Magnifico) ricominciarono a credere nelle potenzialità del volgare e ad utilizzarlo nelle loro opere.
Intorno al 1470, con la diffusione della stampa anche in Italia, la circolazione dei libri crebbe e gli scrittori cercarono di stabilire regole che standardizzassero la scrittura delle parole. La punteggiatura era inadeguata e l’apostrofo non esisteva.
Gli articoli el e il prevalgono su lo. Nel tempo imperfetto, il suffisso -o per la prima persona (io dovevo) cominciò ad apparire, ma nella lingua letteraria -a era ancora predominante.
16° secolo – il grande dibattito su quale latino volgare dovesse essere usato.
Ci sono tre posizioni principali:
- Alcuni vogliono il toscano fiorentino dei grandi scrittori del XIV secolo (Dante, Petrarca e Boccaccio);
- Altri pensano che l’italiano debba essere un mix delle parole più eleganti dei dialetti nazionali;
- Il terzo gruppo preferirebbe il predominio del toscano fiorentino moderno.
La prima posizione prevale grazie a grandi scrittori dell’epoca come Pietro Bembo e Ludovico Ariosto.
L’ortografia del XVI secolo è ancora prevalentemente latina, ma dalla seconda metà del secolo h, x e ti invece di z tendono a scomparire. La punteggiatura diventa più complessa e regolare e l’ortografia è resa più chiara dall’introduzione dell’apostrofo.
Le guerre e le dominazioni straniere hanno portato in Italia molti gallicismi e ispanismi. Ma l’Italia esportò anche molte parole a causa della supremazia italiana in campo culturale e artistico.
17° secolo – Molte innovazioni linguistiche ebbero luogo
La necessità di suscitare stupore nei lettori incoraggiò gli scrittori a inventare un gran numero di metafore talvolta discutibili. Furono inventate nuove parole. Parole eleganti e altre della vita quotidiana e pratica, termini dialettali e stranieri si mescolarono al vocabolario tecnico.
Ma in certi ambienti il rispetto della tradizione era ancora molto profondo. Nel 1612 l’Accademia della Crusca, l’istituzione ufficiale della lingua italiana fino ad oggi, pubblicò la prima edizione del suo Dizionario, basato sulla lingua usata dagli scrittori fiorentini del XIV secolo.
Molte nuove parole con prefissi e suffissi (-issimo, -one, …) furono introdotte nel vocabolario. Molte parole scientifiche furono tratte dal latino (cellula, condensare, iniezione, iperbole, prisma, scheletro – cellula, condensare, iniezione, iperbole, prisma, scheletro) e anche parole giuridiche (aggressione, consulente, patrocinio).
18° secolo – L’Illuminismo e il Culto della Ragione si diffondono.
Gli illuministi intendevano portare ovunque la verità e la luce della ragione, sradicare la superstizione e il pregiudizio per un miglioramento spirituale e materiale dell’umanità. Lo si vede nella lingua scritta, che dà la priorità al contenuto piuttosto che all’eleganza della forma.
Tra gli articoli, il prevaleva sempre prima della z, ma lo e gli dominavano prima della s seguita da una consonante. C’era ancora una grande quantità di varianti nei verbi.
Il forte dominio della cultura illuministica francese favorì l’ingresso nel vocabolario di molto gallicismo.
19° secolo – La disputa tra classicisti e romantici.
I classicisti, contrari all’abuso di gallicismi da parte dei letterati del XVIII secolo, preferirono tornare all’eleganza della lingua tradizionale e all’imitazione degli autori classici. I romantici, invece, avrebbero voluto una lingua moderna e fresca, adattabile alla realtà nazionale, che diventasse uno strumento per l’unità politica dell’Italia.
La crescita della media borghesia portò al successo la tesi romantica, perché insegnanti, medici, notai, tecnici e militari sentivano il bisogno di una lingua ordinaria che potesse sostituire il dialetto, sia nella loro professione che nella semplice conversazione.
Mentre la poesia fu legata alla tradizione per molto tempo. La testimonianza più autorevole di questa tendenza fu rappresentata da I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni che, per l’edizione definitiva del 1840, non utilizzò la vecchia lingua tradizionale, ma il dialetto fiorentino parlato dalla classe media della città toscana.
L’unione politica, cioè il Regno d’Italia, segnò l’inizio di un processo di unificazione linguistica della nostra penisola. Nel 1877 la scuola divenne obbligatoria per due anni. Tuttavia l’analfabetismo era diffuso: verso la fine del XIX secolo la grande maggioranza della popolazione non era ancora in grado di leggere e scrivere e parlava solo il dialetto.
Considerando il/lo e il/gli prima della s seguita da una consonante e dalla z, gli articoli potevano essere alternati. Per quanto riguarda i pronomi, lui e lei prevalsero come soggetti al posto di egli/ei ed ella, anche grazie alla scelta di Manzoni ne I Promessi Sposi.
20° secolo – la lingua italiana prevalse sui dialetti.
Nella prima metà del secolo l’analfabetismo si ridusse drasticamente per la secolarizzazione e l’influenza della radio e della televisione. Anche la lingua poetica si liberò dalla tradizione.
Lo stile giornalistico ebbe molto impatto sulla lingua.
C’è stato un enorme arrivo di anglicismi, determinato dal grande prestigio ottenuto dai paesi di lingua inglese, soprattutto oltreoceano, in campo scientifico, tecnologico ed economico, come baby sitter, bestseller, blue jeans, clacson, computer, guard rail, hostess, jeep, killer, pullover, quiz, rock, self service, spray, stop, supermarket, week end.