Rivoluzione russa del 1905

Rivoluzione russa del 1905, rivolta che fu determinante per convincere lo zar Nicola II a tentare la trasformazione del governo russo da autocrazia a monarchia costituzionale. Per diversi anni prima del 1905 e specialmente dopo l’umiliante guerra russo-giapponese (1904-05), diversi gruppi sociali dimostrarono il loro malcontento con il sistema sociale e politico russo. Le loro proteste andavano dalla retorica liberale agli scioperi e includevano rivolte studentesche e assassinii terroristici. Questi sforzi, coordinati dall’Unione di Liberazione, culminarono nel massacro di dimostranti pacifici nella piazza davanti al Palazzo d’Inverno, a San Pietroburgo, la Domenica di Sangue (9 gennaio 1905).

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A San Pietroburgo e ad altri importanti centri industriali seguirono scioperi generali. Nicola rispose in febbraio annunciando la sua intenzione di istituire un’assemblea eletta per consigliare il governo. Ma la sua proposta non soddisfaceva gli operai in sciopero, i contadini (le cui rivolte si stavano diffondendo), o anche i liberali degli zemstvos (organi di governo locali) e delle professioni, che in aprile chiedevano la convocazione di un’assemblea costituente.

La rivolta si diffuse in parti non russe dell’impero, in particolare in Polonia, Finlandia, province baltiche e Georgia, dove fu rafforzata da movimenti nazionalisti. In alcune zone la ribellione si scontrò con la violenta opposizione dei cento neri antirivoluzionari, che attaccarono i socialisti e inscenarono pogrom contro gli ebrei. Ma anche le forze armate si schierarono dalla parte della rivolta: unità dell’esercito situate lungo la linea ferroviaria transiberiana insorsero, e in giugno l’equipaggio della corazzata Potemkin si ammutinò nel porto di Odessa.

Il decreto governativo del 6 agosto (19 agosto) che annunciava le procedure di elezione dell’assemblea consultiva stimolò ancora di più la protesta, che aumentò fino a settembre. La ribellione raggiunse il suo picco in ottobre-novembre. Uno sciopero delle ferrovie, iniziato il 7 ottobre (20 ottobre), si sviluppò rapidamente in uno sciopero generale nella maggior parte delle grandi città.

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Il primo consiglio dei lavoratori, o soviet, che fungeva da comitato di sciopero, fu formato a Ivanovo-Vosnesensk; un altro, il soviet di San Pietroburgo, fu formato il 13 ottobre (26 ottobre). Inizialmente dirigeva lo sciopero generale; ma, con l’adesione dei socialdemocratici, specialmente dei menscevichi, assunse il carattere di un governo rivoluzionario. Simili soviet furono organizzati a Mosca, Odessa e altre città.

La grandezza dello sciopero convinse infine Nicola ad agire. Su consiglio di Sergey Yulyevich Witte, emanò il Manifesto d’ottobre (17 ottobre 1905), che prometteva una costituzione e l’istituzione di una legislatura eletta (Duma). Inoltre nominò Witte presidente del nuovo Consiglio dei Ministri (cioè primo ministro).

Queste concessioni non soddisfacevano le richieste dell’opposizione radicale per un’assemblea o una repubblica. I rivoluzionari rifiutarono di cedere; anche i liberali rifiutarono di partecipare al governo di Witte. Ma alcuni moderati furono soddisfatti, e molti lavoratori, interpretando il Manifesto d’Ottobre come una vittoria, tornarono al loro lavoro. Questo fu sufficiente a rompere la coalizione dell’opposizione e a indebolire il soviet di San Pietroburgo.

A fine novembre il governo arrestò il presidente del soviet, il menscevico G.S. Khrustalev-Nosar, e il 3 dicembre (16 dicembre) occupò il suo edificio e arrestò Leon Trotsky e altri. Ma a Mosca fu indetto un nuovo sciopero generale; furono erette barricate e ci furono combattimenti nelle strade prima che la rivoluzione fosse sedata. In Finlandia l’ordine fu ristabilito rimuovendo alcune leggi impopolari, ma speciali spedizioni militari furono inviate in Polonia, nelle province baltiche e in Georgia, dove la soppressione delle ribellioni fu particolarmente cruenta. All’inizio del 1906 il governo aveva ripreso il controllo della ferrovia transiberiana e dell’esercito, e la rivoluzione era sostanzialmente finita.

La rivolta non riuscì a sostituire l’autocrazia zarista con una repubblica democratica e nemmeno a convocare un’assemblea costituente, e la maggior parte dei leader rivoluzionari fu messa agli arresti. Tuttavia, costrinse il regime imperiale a istituire ampie riforme, le più importanti delle quali furono le Leggi Fondamentali (1906), che funzionavano come una costituzione, e la creazione della Duma, che favorì lo sviluppo dell’attività politica legale e dei partiti.

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