Ponzio Pilato (6)

Ponzio Pilato: Prefetto romano della Giudea dal 26 d.C. al 36 d.C., meglio conosciuto per l’esecuzione di Gesù di Nazareth.

Gesù

Ritratto di uomo romano, 30 d.C. circa

Il processo contro Gesù è l’incidente meglio attestato della carriera di Pilato. Abbiamo quattro resoconti indipendenti: le Antichità giudaiche di Flavio Giuseppe (sotto), il vangelo di Marco, il vangelo di Giovanni e gli Annali dello storico romano Tacito. I racconti della passione di Matteo e Luca sono derivati da quello di Marco, ma contengono informazioni extra che possono essere autentiche.

A prima vista, è strano che i capi ebrei abbiano consegnato Gesù a Pilato per farlo giustiziare. Certo, il falegname di Galilea aveva predetto l’avvento del Regno di Dio, e aveva – in uno scatto d’ira – rovesciato i banchi dei cambiavalute e i banchi dei venditori di colombe, chiamando il santuario “un covo di ladri”. Questo era un reato grave, ma insufficiente per far giustiziare un uomo.

La vera ragione per cui Caifa voleva sbarazzarsi dell’uomo di Nazareth era – probabilmente – che aveva affermato di essere “il Figlio dell’Uomo seduto alla destra dell’Eccelso e che viene sulle nuvole del cielo”, il che significava che Gesù avrebbe condiviso il trono di Dio e avrebbe giudicato le autorità del Tempio. Il sommo sacerdote lo considerava una bestemmia.

Pilato era meno interessato a un bestemmiatore, e quindi Caifa gli presentò un caso diverso: Gesù aveva affermato di essere il “Re dei Giudei”. In altre parole, fu accusato di alto tradimento. Anche se apprendiamo questo dai vangeli a volte di parte, dobbiamo considerarlo un fatto storico, perché è troppo imbarazzante per essere stato inventato.

Caifa poté accusare Gesù di alto tradimento perché alcuni dei suoi discepoli lo consideravano il Messia, un’identificazione alla quale Gesù sembra aver risposto in modo ambiguo.

Purtroppo, c’erano molte messianologie. Alcuni pensavano che il Messia fosse un capo militare che doveva sconfiggere i romani; altri erano d’accordo che il Messia doveva restaurare Israele, ma preferivano una rinascita morale inaugurata da un saggio che spiegava la legge di Mosè. Tutte queste messianologie usavano titoli come “re” e “figlio di Davide”; la maggior parte di esse prevedeva che le dodici tribù sarebbero state ristabilite; molti supponevano che il ministero del Messia avrebbe portato al dominio personale di Dio su questo mondo (il “Regno di Dio”). Le molte somiglianze rendevano facile confondere queste messianologie.

È probabile che Gesù si considerasse un profeta e un maestro, ma deve essere stato facile per Caifa interpretare l’azione di Gesù contro il Tempio in modo militare. Era stato arrestato dopo una rivolta, era chiamato “re Messia”, sosteneva di essere un discendente di Davide, aveva dodici discepoli, aveva annunciato la distruzione del Tempio e aveva minacciato di giudicare il sommo sacerdote, affermando di essere il rappresentante personale di Dio. Pilato doveva crocifiggere questo aspirante re. Se non avesse giustiziato il pretendente, avrebbe fallito come governatore.

Secondo i vangeli, il governatore intuì che l’interpretazione di Caifa dell’affermazione che Gesù era il Messia era parziale (“perché sapeva che i capi dei sacerdoti lo avevano consegnato per invidia” nota). C’è la possibilità che questo sia confermato da Flavio Giuseppe, che scrive:

In quel tempo apparve Gesù, un uomo saggio. Poiché egli era uno che faceva azioni sorprendenti, un maestro del popolo che riceve la verità con piacere. E si guadagnò un seguito sia tra molti ebrei che tra molti di origine greca. E quando Pilato, a causa di un’accusa mossa dagli uomini più importanti tra noi, lo condannò alla croce, coloro che prima lo avevano amato non cessarono di farlo. E fino ad oggi la tribù dei cristiani, che porta il suo nome, non si è estinta.nota

Questa è una strana descrizione del caso. Qualsiasi relazione diretta avrebbe detto che Pilato aveva ordinato l’esecuzione dell’uomo di Nazareth perché aveva commesso questo o quel crimine. Ma invece di nominare l’accusa, Flavio Giuseppe menziona gli accusatori. Questo è tanto più notevole in quanto lo storico ebreo detestava gli aspiranti re e i contestatori che riteneva responsabili della grande guerra tra ebrei e romani del 66-70, e di solito si diletta a scrivere della loro meritata punizione. Il fatto che ora si astenga dal raccontare l’accusa di alto tradimento suggerisce fortemente che la considerava una falsa accusa; e il fatto che Flavio Giuseppe menzioni esplicitamente i capi ebrei può suggerire che la sua fonte gli abbia detto che Pilato aveva rifiutato di accettare l’unica responsabilità.

Comunque possiamo leggere la testimonianza di Flavio Giuseppe, almeno i vangeli presumono che Pilato non fosse convinto che il carpentiere di Nazareth fosse colpevole. Sia Marco che Giovanni – fonti indipendenti – ci mostrano come il governatore abbia costretto gli ebrei ad assumersi una parte della responsabilità: Pilato dichiara di non poter trovare difetti in Gesù e si riferisce ripetutamente a Gesù come “il vostro re” – spingendo così la popolazione di Gerusalemme a dichiarare che vogliono l’uomo di Galilea crocifisso.

Secondo Matteo (il cui resoconto non può essere corroborato) Pilato si lavò persino le mani: un’usanza farisea per lavare via l’impurità, come quella causata dalla condanna di un uomo innocente.

Naturalmente, questo non aveva senso. Come magistrato supremo della Giudea, Pilato aveva la piena responsabilità. Ma non è implausibile che il governatore abbia usato l’occasione per ottenere impegni di fedeltà dai suoi sudditi. L’affermazione di Giovanni che i Giudei dichiararono addirittura di non avere “altro re che Cesare” può essere davvero un fatto storico. Pilato può essersi rammaricato di aver dovuto crocifiggere un uomo abbastanza innocente, ma può aver considerato questo sacrificio umano un prezzo accettabile da pagare per una cooperazione senza problemi con le autorità del Tempio.

Anche se è possibile che il governatore volesse attribuire la responsabilità agli ebrei, non cercava un conflitto con i suoi sudditi. I vangeli menzionano diversi casi in cui Pilato mostra rispetto per i loro costumi. Secondo Matteo 27.24, si lavò le mani; secondo Giovanni 18.29 permise agli oppositori di Gesù di parlare dall’esterno del suo quartier generale, il Pretorio (entrare in un edificio pagano avrebbe contaminato i sacerdoti ebrei); e Marco 15.43 e Giovanni 19.38 affermano che permise a Giuseppe di Arimatea di seppellire il morto prima dell’inizio del sabato. (Dal momento che lo affermano indipendentemente, questo deve essere autentico.)

Quest’ultima storia è molto notevole: la direttiva dell’imperatore Augusto che coloro che avevano subito la pena di morte ricevessero una degna sepoltura, non riguardava i giustiziati per un’accusa di alto tradimento. Infatti, era quasi proverbiale che i crocifissi fossero la preda dei cani e una festa per gli uccelli. Il permesso di Pilato di far seppellire e (secondo Giovanni 19.39) imbalsamare regalmente Gesù, è l’atto di un governatore ansioso di rispettare i sentimenti religiosi dei Giudei.

Si deve anche notare che Pilato non ha radunato gli altri sospetti, anche se deve essere stato possibile chiedere alla popolazione di Gerusalemme arrabbiata di aiutare la ricerca di persone che parlavano una lingua galileiana. Se Pilato credeva davvero che i galilei avessero preso d’assalto il Tempio e volessero stabilire il Regno di Dio con mezzi violenti, questo era quasi irresponsabile. Questo fatto – Marco, Giovanni e Flavio Giuseppe confermano che Gesù fu l’unico galileo giustiziato – prova quasi che Pilato non credeva che Gesù fosse un Messia politico. In un’epoca in cui le esecuzioni venivano usate come deterrenti, il suo comportamento suggerisce l’antipatia per l’eccessiva violenza.

D’altra parte, aveva condannato un uomo quasi innocente a una morte brutale, lenta ed estremamente dolorosa. Lo stesso giorno, Pilato rilasciò un uomo chiamato Barabba che era stato arrestato dopo una sommossa che era costata alcuni morti. I racconti di Marco e Giovanni, che affermano che era abitudine di Pilato liberare un prigioniero a Pasqua, non possono essere presi al valore nominale: l’idea di una liberazione annuale di assassini è ridicola. Inoltre, le loro storie sono colorate dalla teologia e dall’apologia cristiana: Barabba è presentato come il primo ad essere salvato dalla passione di Gesù, e gli ebrei piuttosto che Pilato chiedono la morte di Gesù.

Tuttavia, la liberazione di quest’uomo è attestata due volte, ed è abbastanza probabile. Tuttavia, bisogna sottolineare che c’è un interessante parallelo con la scelta del capro espiatorio nel giorno dell’espiazione come descritto in Levitico 16,7-10: due capri sono selezionati, e la sorte decide quale viene scelto per essere sacrificato come offerta per il peccato, mentre l’altro sarà rilasciato nel deserto. Il parallelo con la storia di Barabba e di Gesù è notevole.

L’ironia della liberazione di Barabba – che fosse un fatto storico o meno – non fu persa dai primi cristiani: un colpevole era stato rilasciato, un innocente era stato ucciso.

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