La biblioteca, non più pienamente sostenuta dallo stato, cadde in declino dalla metà del II secolo a.C. Giulio Cesare (l. 100-44 a.C.) fu incolpato da scrittori antichi come Plutarco (l. c. 45 – c. 125 d.C.) di aver bruciato la biblioteca, anche se sopravvisse in qualche forma, per poi subire altri incendi verso il 270 d.C. e nel 642 d.C. Qualunque sia la storia esatta della scomparsa della biblioteca, fortunatamente per i posteri, molti dei testi alessandrini furono copiati nel corso dei secoli e questi finirono spesso nelle biblioteche bizantine che furono poi stampati durante il Rinascimento creando un legame tangibile tra gli antichi rotoli di papiro e quelle edizioni che si trovano oggi nelle biblioteche universitarie e altrove.
Advertisement
Biblioteche greche
Le biblioteche greche continuavano ad essere dominate dai rotoli di papiro anche se un indicatore che i libri stavano diventando una vista più comune al di fuori delle istituzioni è che per i greci il termine biblioteca poteva riferirsi sia al luogo dove i testi erano conservati sia a qualsiasi piccola collezione di libri, ora facilmente disponibile nei mercati di Atene del V secolo avanti Cristo. Uno dei proprietari di una celebre collezione era il tiranno Policrate di Samo (r. 538-522 a.C.). La prima biblioteca pubblica greca è accreditata dagli autori antichi agli sforzi di Peisistratos di Atene (c. 527 a.C.). I pensieri dei famosi filosofi greci erano una delle grandi fonti di libri – Aristotele stesso era un noto collezionista – ma continuò ad esserci un dibattito su quale fosse superiore per l’insegnamento: la parola parlata o quella scritta.
I leader ellenistici spesso vedevano le biblioteche come un modo per promuovere il loro dominio e presentarsi come governanti colti e illuminati. Essi potevano quindi sponsorizzare o approvare pubblicamente certi scrittori che ottenevano l’accettazione accademica (e politica) facendo ammettere le loro opere in una biblioteca ufficiale. Abbiamo già visto gli sforzi dei Tolomei ad Alessandria, ma altri del periodo includevano Pella, Antiochia, e a Pergamo, creata dagli Attalidi (282-133 a.C.), che si dice avesse 200.000 rotoli. Un’altra tendenza in via di sviluppo fu quella di dotare il ginnasio presente in molte città greche di una biblioteca, poiché quel luogo divenne associato all’apprendimento tanto quanto all’esercizio fisico.
Biblioteche romane
Il primo riferimento ad una biblioteca a Roma è la collezione di libri che il generale e console Emilio Paolo (c. 229 – 160 a.C.) portò a casa dopo aver sconfitto Perseo di Macedonia (c. 212 – 166 a.C.) nel 168 a.C. Questo era un modello spesso ripetuto, forse il più infame è l’appropriazione da parte di Silla della biblioteca di Aristotele quando saccheggiò Atene nell’84 a.C. Come nelle culture precedenti, le biblioteche erano particolarmente associate ai templi, ai palazzi e agli archivi di stato, e, come in Grecia, la combinazione palestra-biblioteca, ora chiamata palaestra, fu continuata. Gli scrittori romani erano prolifici commentatori delle opere dei loro predecessori greci e quindi chiaramente avevano accesso a quei testi nelle biblioteche. Le biblioteche romane tendevano ad essere divise all’interno in due aree: una per il latino e un’altra per le opere greche.
Il crescente numero di bambini inviati agli educatori fu un boom per la creazione di libri, e lì si sviluppò l’idea che un rispettabile cittadino romano dovesse non solo possedere una buona conoscenza della letteratura ma anche avere una propria collezione di libri, una biblioteca privata che spesso veniva messa a disposizione di una vasta cerchia di familiari e amici. Una di queste biblioteche è stata scavata a Ercolano. Appartenente a L. Calpurnius Piso (suocero di Giulio Cesare), ci sono i resti carbonizzati di circa 1.800 rotoli che sarebbero stati tenuti in nicchie a muro o armadi divisori (armaria) disposti intorno a un tavolo di lettura centrale.
Per la fine della Repubblica Romana, figure come Giulio Cesare, il console Asinio Pollio (75 a.C. – 4 d.C.) e poi l’imperatore Augusto (27 a.C. – 14 d.C.), cominciarono ad agire sull’idea che i libri appartenessero a tutti e così costruirono le prime biblioteche veramente pubbliche in opposizione alle istituzioni di studiosi su invito delle epoche precedenti. Che le biblioteche famose fossero effettivamente disponibili per tutti e progettate per esserlo è riferito da scrittori come Ovidio (43 a.C. – 17 d.C.) e Plinio il Vecchio (23-79 d.C.). Un cartello che sopravvive dalla biblioteca di Pantaeno ad Atene afferma: ‘Nessun libro deve essere portato fuori…Aperto dall’alba a mezzogiorno’ (Hornblower, 830). Tipicamente, un addetto andava a prendere il rotolo desiderato mentre copisti e restauratori potevano essere al lavoro dietro le quinte.
C’erano così tante biblioteche – la sola città di Roma avrebbe finito per avere forse 28 biblioteche pubbliche – che Vitruvio (c. 90 – 23 a.C. circa), il famoso architetto e studioso, dedicò una sezione del suo On Architecture alle giuste considerazioni per la costruzione di una biblioteca. Raccomandava che una biblioteca fosse rivolta ad est sia per la migliore luce che per ridurre l’umidità. Altri scrittori consigliavano che i pavimenti delle biblioteche dovessero essere di marmo verde e che i soffitti non dovessero certo essere dorati, in modo da evitare qualsiasi riverbero e un inutile affaticamento degli occhi.
Le biblioteche romane divennero il luogo in cui un autore pubblicava per la prima volta il proprio lavoro, leggendo ad alta voce ad un piccolo pubblico. La biblioteca palatina di Augusto era inoltre utilizzata per tutti i tipi di riunioni, comprese le udienze imperiali e le sessioni del Senato romano. Un’altra possibile combinazione di funzioni era quella di avere biblioteche nei bagni romani; i bagni di Traiano (r. 98-117 CE), Caracalla (r. 211-217 CE), e Diocleziano (r. 284-305 CE) a Roma hanno tutti stanze identificate da almeno alcuni studiosi come biblioteche, anche se presumibilmente, se lo erano, non era permesso portare un rotolo nella stanza del vapore. Come per altri elementi della loro cultura, i Romani diffusero l’idea di biblioteche pubbliche in tutto il loro impero, con quelle famose che furono istituite a Efeso (la Biblioteca di Celso, completata nel 117 d.C.) e Atene (la Biblioteca di Adriano, completata intorno al 134 d.C.). Altre famose biblioteche del II secolo d.C. furono quelle di Rodi, Kos e Taormina (Tauromenium).
Biblioteche bizantine
Anche se l’impero bizantino possedeva una biblioteca imperiale e una patriarcale (diretta dal vescovo capo) per gran parte della sua storia e vantava una delle grandi biblioteche a Costantinopoli con i suoi 120.000 rotoli (bruciata),000 pergamene (è bruciata intorno al 475 CE) in generale, nella tarda antichità, le biblioteche pubbliche cominciarono a scomparire nel mondo greco-romano. I libri però non scomparvero del tutto, e i monasteri bizantini divennero i grandi conservatori di testi antichi nelle loro biblioteche. Acquisiti attraverso la diligente copiatura e le donazioni di gentili mecenati, un tipico monastero se la cavava bene se poteva vantare 50 libri, e questi erano davvero solo per gli studiosi da consultare mentre le biblioteche tornavano al ruolo più limitato che avevano avuto nel Vicino Oriente e in Egitto.
Nuovi libri furono prodotti, in gran parte grazie alla religione cristiana che, a differenza delle antiche credenze pagane, trasferiva le idee ai nuovi seguaci usando la parola scritta piuttosto che la semplice istruzione orale. Ai convertiti venivano anche ricordate storie, inni e rituali grazie ai testi. Gli infiniti dibattiti che gli studiosi cristiani crearono con nuove idee e interpretazioni di testi più antichi, i loro commenti e i conseguenti scismi, causarono un boom sia nella produzione di libri che nella lettura (ma anche, a volte, la distruzione di quei libri considerati sovversivi). Esempi notevoli di biblioteche bizantine sono quelle nei monasteri del Monte Athos e del Monte Sinai che contengono circa un quarto di tutti i manoscritti medievali sopravvissuti. È in gran parte grazie ai monaci bizantini, quindi, sempre impegnati a produrre i loro bellissimi ma costosi manoscritti miniati, che oggi possiamo leggere, studiare e godere delle opere di nomi come Erodoto, Sofocle e Tucidide.