C Bilinguismo
La nostra discussione sull’acquisizione della lingua si è concentrata finora sulle circostanze in cui un individuo sta imparando una prima lingua. Molti individui, tuttavia, diventano in qualche misura abili in più di una lingua. Il raggiungimento del bilinguismo è, infatti, spesso diventato un obiettivo esplicito dell’istruzione superiore. I programmi di studio dello Yale College, per esempio, stabiliscono che “gli studenti dovrebbero essere in grado di capire, parlare, leggere e scrivere in una lingua diversa dalla loro, e dovrebbero conoscere la letteratura di quella lingua nell’originale. Tali abilità aumentano la sottigliezza della mente e acuiscono la sensibilità all’uso della propria lingua” (1992, p. 15). Ciò che lo Yale College afferma con sicurezza – che il bilinguismo aumenta la “sottigliezza della mente” – è stato spesso fonte di controversie empiriche e persino politiche.
In effetti, molte delle prime ricerche sul bilinguismo si sono concentrate direttamente sulla questione se il possesso di due lingue avesse conseguenze buone o cattive per le prestazioni cognitive generali (per le recensioni, vedi Hakuta, 1986; Hoffmann, 1991; Reynolds, 1991). Inizialmente, questa ricerca riportava che il bilinguismo era associato a diminuzioni delle prestazioni. Questi primi studi, tuttavia, spesso confrontavano bilingui immigrati con monolingui nativi, non permettendo di trarre conclusioni sugli effetti del bilinguismo indipendentemente dalle conseguenze dello svantaggio sociale ed economico.
Ricerche più recenti hanno raggiunto conclusioni prudenti, più in linea con l’affermazione dello Yale College che il bilinguismo è vantaggioso. Mohanty e Babu (1983), per esempio, hanno confrontato membri monolingui e bilingui della società tribale Kond in India. Suggerirono che l’esperienza con due lingue avrebbe permesso ai bilingui di ragionare più efficacemente sulle proprietà astratte delle lingue. Trovarono, infatti, che anche con l’intelligenza non verbale presa in considerazione, i bilingui mostravano un’abilità metalinguistica superiore. Okuh (1980) ha ragionato sul fatto che due lingue avrebbero fornito ai bambini bilingui “due finestre o corridoi attraverso i quali vedere il mondo” (p. 164), producendo il potenziale per una maggiore creatività tra i bilingui. In studi con bambini nigeriani e gallesi, Okuh ha dimostrato esattamente questa maggiore creatività per i bilingui rispetto ai monolingui, al di là delle differenze di intelligenza.
Studi di questo tipo, con bambini monolingui e bilingui provenienti dalle stesse culture, forniscono prove convincenti a favore dell’ipotesi che il bilinguismo covari con la facilitazione in alcuni tipi di pensiero. Anche così, questi studi soffrono dell’inevitabile difetto metodologico che monolingui e bilingui non sono stati assegnati casualmente ai due gruppi (e l’assegnazione casuale è, ovviamente, praticamente proibita) (Hakuta, 1986; Reynolds, 1991). Senza tale assegnazione casuale, stabilire la causalità in questo campo rimane un po’ oscuro. Rimane la possibilità che le stesse circostanze culturali che incoraggiano il bilinguismo incoraggino anche, per esempio, la creatività.
Per rendere meno ambiguo l’argomento che il bilinguismo ha un effetto facilitante sul pensiero, i ricercatori hanno iniziato a studiare le impostazioni educative in cui i bambini acquisiscono una seconda lingua. Diaz (1985) e Hakuta (1987), per esempio, riportano i dati di uno studio longitudinale sull’educazione bilingue nel sistema scolastico di New Haven, Connecticut. I bambini di questo programma erano di madrelingua spagnola che iniziarono a ricevere una formazione in inglese nella scuola elementare (l’obiettivo del programma era quello di spostare i bambini in classi monolingui inglesi). Sia Diaz che Hakuta hanno trovato una relazione positiva tra il grado di bilinguismo e le capacità cognitive dei bambini, ma questa relazione era più forte per gli studenti che erano meno abili nella loro seconda lingua. Per esempio, all’interno del gruppo di bambini che in media avevano una bassa conoscenza dell’inglese, il grado di bilinguismo prevedeva “una quantità sostanziale di variabilità cognitiva” (Diaz, 1985, p. 1382) rispetto, per esempio, alla capacità metalinguistica. Diaz concluse che “gli effetti positivi del bilinguismo sono probabilmente legati agli sforzi iniziali richiesti per comprendere e produrre una seconda lingua piuttosto che a livelli sempre più alti di competenza bilingue” (p. 1387).
I sostenitori dell’educazione bilingue hanno spesso affermato che tali programmi ostacolano lo sviluppo educativo degli studenti delle minoranze (per discussioni, vedi Hakuta & Garcia, 1989; Padilla et al., 1991). Risultati del tipo ottenuto da Diaz e Hakuta suggeriscono invece che la formazione bilingue precoce può espandere le capacità cognitive dei bambini. In questo contesto, l’esperienza con più di una lingua ha un reale potenziale per migliorare la qualità del pensiero. Una seconda importante conclusione è che la seconda lingua non dovrebbe essere acquisita a spese della prima. Il maggior vantaggio relativo è quasi certamente quello dei bambini che sono in grado di mantenere, per esempio, il loro spagnolo nativo mentre acquisiscono l’inglese (vedi Hakuta, 1986, 1987).
Anche se ci sono pochi dati metodologicamente puri per sostenere l’affermazione specifica che il bilinguismo può “aumentare la sottigliezza della mente e affinare la sensibilità all’uso della propria lingua”, una conclusione generale da questa tradizione di ricerca è che le abitudini di pensiero possono essere migliorate attraverso l’acquisizione di almeno una seconda lingua. In un certo senso, quindi, i sostenitori del monolinguismo nazionalistico (ad esempio, English First) rischiano di impoverire la vita mentale dei loro compatrioti (Hakuta, 1986; Lambert, 1992). La ricerca futura dovrebbe confermare che la politica pubblica più ponderata è quella di promuovere il multilinguismo diffuso.